Paese che vai, business che fai
5 Maggio 2020
CHE NON VI SALTI MAI IN MENTE, in un incontro d’affari, di sedervi, accavallare le gambe e mettere in bella vista la suola delle scarpe. Per un giapponese è un’offesa oltraggiosa. E guai a soffiarvi il naso davanti ai businessmen cinesi: è meglio “tirare su” fino alla fine del meeting. Mettere la firma a un contratto importante o buttarlo nel cestino della carta straccia può dipendere anche da un piccolo gesto. A curare i dettagli che fanno la differenza è il consulente di intercultural & business etiquette. «In Italia, questa figura non ha ancora il giusto riconoscimento delle aziende», spiega Susanne Strauss, che a Parma fa proprio questo lavoro per privati e compagnie. «Ma la prendono molto sul serio in Austria (dove lei è nata, ndr) e in Germania (dove ha conseguito uno dei suoi attestati, ndr)». Per imboccare questa strada bisogna avere – oltre che conoscenze interculturali – mente aperta, curiosità e rispetto, e saperli trasmettere a chi deve poi concludere l’affare (lezioni private e seminari costano dai 50 euro in su a persona). Perché i passi falsi sono all’ordine del giorno, soprattutto se si tratta con l’Oriente. «Se mandi uno dei tuoi manager a parlare con il capo, non riuscirà a vederlo neppure con il binocolo: in Asia la gerarchia è tutto. E se aspetti decisioni veloci, scordatele: vengono prese sempre in gruppo. Infine, se gli uomini d’affari con cui stai trattando ti danno il bigliettino da visita della loro onorata azienda e lo metti nella tasca posteriore dei pantaloni, inizi con il piede sbagliato».
Anche le cene hanno il loro code. «I cinesi le organizzano per conoscerti meglio: non si parla mai di lavoro e le domande sono spesso invadenti, tipo “Quanto ha pagato la sua cravatta?”. Agli incontri è bandito il profumo per entrambi i sessi, la frase “potrebbe essere un problema” vuol dire “no”, “sì” significa soltanto “abbiamo capito”». E se qualcuno si addormenta bisogna perdonarlo, soprattutto se è di Taiwan, dove le ore di lavoro sono 2.200 all’anno (il 20 per cento in più di Usa e Giappone) e, in azienda, ai dipendenti è permesso fare il pisolino.
Tratto da un articolo apparso su “Amica”