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Daily Business Worldwide – Intervista a Filippo Bertozzi

12 Aprile 2021

International Sales Manager


Filippo Bertozzi

Da oltre venti anni mi occupo di vendite, passando da settori come l’organizzazione di eventi e i servizi di cronometraggio di gare sportive, il coordinamento per la raccolta pubblicitaria di riviste settoriali, la raccolta di finanziamenti per progetti di ricerca scientifica, la vendita di prodotti editoriali di pregio e, da quasi dieci anni, seguendo per un’azienda l’export di carta da parati in giro per il mondo.

Diciamo non un percorso lineare ed ortodosso, ma che mi ha portato ad esperienze molto varie tra loro, che hanno arricchito il mio bagaglio culturale e di conoscenze, affinando l’attenzione ad instaurare sempre la necessaria fiducia a prescindere dalle sempre diverse tipologie di clienti.

Intervista

  • Con quali paesi lei ha il piacere di collaborare e a quale paese vorrebbe dedicare l’attenzione?

Nel corso degli anni, ho avuto la fortuna di poter viaggiare in una cinquantina di paesi diversi, quindi c’è solo l’imbarazzo della scelta…

  • Prima di ogni viaggio, come si prepara per incontrare clienti o Business partner stranieri con culture diverse?

Quando ho cominciato ad occuparmi di export ho seguito un corso che prevedeva anche lezioni specifiche su varie culture di business e i relativi accorgimenti, a cui stavo piuttosto attento.

Adesso confesso che avendo ormai rapporti consolidati in un ambito in cui i clienti sono sempre gli stessi, ho instaurato relazioni quasi di amicizia con la maggior parte di loro e non ho una preparazione particolare.

  • Quando si trova nel paese visitato, a che cosa deve prestare particolarmente attenzione per assecondare chi è con lei?

Ci sono dettagli formali che è bene conoscere, per evitare di creare situazioni spiacevoli, però credo che in qualsiasi tipologia di rapporto sia fondamentale suscitare e mantenere la fiducia della controparte.
Che non vuol dire necessariamente assecondare, ma ascoltare con attenzione le esigenze espresse e cercare di trovare le soluzioni più adeguate.

Se i rapporti sono corretti e non si cerca di approfittarsene, l’interlocutore (a prescindere dalla sua provenienza culturale e geografica) solitamente è in grado di riconoscere che entrambe le parti stanno cercando il giusto profitto per la propria azienda, anche quando si cerca di mantenere ferme determinate posizioni.

In sostanza, non sono della scuola che professa “il cliente ha sempre ragione”: penso di saper riconoscere istanze ragionevoli, ma non mi capita facilmente di assecondare quelle che renderebbero squilibrato il rapporto, a meno che non veda un ritorno a medio/lungo termine.
Flessibilmente rigido, per usare un ossimoro.

  • Riesce a raccontarmi qualche aneddoto, anche in passato, se mai le fosse capitato di fare una Gaffe perchè non conosceva la cultura oppure gli usi e costumi del suo interlocutore?

In una delle prime visite ad un cliente saudita, ci siamo seduti su un divano e inconsapevolmente mi è capitato di accavallare le gambe mostrandogli la suola di una scarpa: mi è stato fatto immediatamente notare che nella sua cultura è un gesto molto offensivo. C’è stato un momento di imbarazzo e mi sono scusato, ma poi la conversazione è ripresa amabilmente. 

Nei paesi mediorientali o musulmani del nord Africa bisogna essere consci del fatto che hanno un senso di ospitalità molto spiccato: ogni incontro prevede lunghe chiacchiere preliminari per rompere il ghiaccio, partendo alla lontana, anche perché non hanno decisamente lo stesso senso del tempo che abbiamo in Occidente.

Con i nord americani, solitamente capita l’opposto: non vogliono perdere tempo e si va subito in trattativa sui punti chiave degli accordi da raggiungere, una volta definiti quelli, si organizza la socializzazione successiva, che siano 18 buche su un campo da golf o una cena in un locale particolare.

I clienti orientali in genere tendono ad evitare di dare risposte apertamente negative, per paura di offendere l’interlocutore, mentre in Occidente preferiamo un diniego chiaro, piuttosto che inutili attese di risposte che non arrivano.

  • Lei ritiene che conoscere le differenze culturali e/o un comportamento adatto, possano influire sull’esito di un buon business?

Sicuramente. Innanzitutto, bisogna avere sempre la voglia (nonostante l’odierna tecnologia che permette incontri virtuali e quando ovviamente si potrà ricominciare a viaggiare) di spostarsi, andare a trovare i clienti a casa loro, dimostrargli di voler veramente mettersi sullo stesso piano per trovare degli accordi.
Poi purtroppo talvolta ci possono essere anche specifiche incompatibilità con determinate culture: io ad esempio, per quanto ami l’India come paese, mi trovo molto a disagio a negoziare con chi di base ha la tendenza a promettere determinate prestazioni per ottenere i relativi vantaggi, per poi modificare gli accordi in continuazione, senza mai rispettare la parola data, cercando sempre di sopraffare la controparte e pretendendo in sostanza la sua sottomissione.

So che deriva anche dal loro retaggio di una società divisa in caste, in cui non c’è parità di rapporti, ma fatico sempre ad adeguarmi.

In realtà non credo di essere l’unico, perché non ho mai trovato colleghi o concorrenti che apprezzino il modo indiano di fare affari, anzi… un cliente thailandese una volta mi ha confessato che dei loro “vicini di casa” un detto locale recita “se torni a casa di notte e sulla tua strada incontri un cobra e un indiano, uccidi prima il secondo”: non è politicamente corretto, ma chiarisce bene la reputazione che si sono fatti gli indiani per il loro modo di gestire le trattative…

Coi cinesi invece mi trovo molto bene: ragionevoli nel trattare le condizioni, solitamente precisi nel rispetto degli accordi ed affidabili nel lungo termine, sempre che tu sia pronto allo stesso livello; altrimenti spariscono letteralmente e il rapporto è irrecuperabile. Forse perché tengono rigidamente fede al loro modo di dire: “Se paghi come dico io, ti servo come vuoi tu; se paghi come vuoi tu, ti servo come dico io”.
Però se i patti sono chiari, coi cinesi l’amicizia è lunga.

  • Quale suggerimento, data la sua esperienza, è bene considerare nel rispetto delle persone nel paese che ci ha menzionato appartenenti a una cultura diversa dalla sua?

Non credo ci siano segreti particolari: come dicevo inizialmente penso sia fondamentale ottenere la fiducia con la correttezza dei rapporti, il rispetto umano e degli accordi.

Ed essere aperti mentalmente alle altre culture, sinceramente interessati ad apprendere ed imparare: una cosa che per esempio non faccio mai, anche se me lo chiedevano spesso (ma ormai mi conoscono…) è di accettare la proposta di andare a mangiare in ristoranti italiani. Credo ci si apprezzi e alla fine ci si capisca molto di più se si mangiano le stesse cose tipiche del posto in cui ci si trova, disponibili a gusti e sapori totalmente diversi da quelli a cui siamo abituati.

Una volta a Calcutta, al termine di una cena così piccante da farmi lacrimare gli occhi, capendo le mie difficoltà, i commensali si sono offerti di portarmi a mangiare il miglior kulfi (un gelato locale, tipicamente usato per sfiammare…) della città: dal ristorante di lusso in cui avevamo cenato, siamo finiti in un vicolo minuscolo, mangiando da ciotole di legno lavate in una fontana in cui bevevano degli asini.
Ottimo, ma quando al ritorno l’ho raccontato alla dottoressa dell’azienda, a momenti cade dalla seggiola…

Un suggerimento che esula dal rapporto con le persone, per non correre il rischio di compromettere l’incontro e magari l’intero viaggio, è di considerare sempre la logistica dei paesi in cui si viaggia: nelle metropoli dei paesi africani, mediorientali e asiatici spesso il traffico condiziona la vita, quindi è bene non pianificare mai più di uno, massimo due incontri nella stessa giornata e in Cina, di non fidarsi dell’inglese dei tassisti, ma di prepararsi le indicazioni scritte in lingua locale…